sabato 13 giugno 2015

Todo Modo - d.d.c. - d.a 8449.32

Todo modo para buscar la voluntad divina...

... e mentre non ho nessun dubbio sulla posizione e sul giudizio di sciascia sulle responsabilita' della chiesa cattolica nel nostro tempo...
resta ancora dubbioso, come lo e' nella mia anima siciliana, il rapporto tra l'io di Sciascia e Dio essenza o forse giustificazione dell'esistenza umana...


Todo modo di Sciascia si può definire un giallo a sfondo politico nel contesto dell’Italia degli anni Settanta, periodo in cui si fa più acuta la crisi della Democrazia cristiana come partito di governo e dell’egemonia cattolica nel Paese.
Sciascia indaga sul peso della religione cattolica nel deterioramento dei valori morali, indicandone le specifiche responsabilità.
Tuttavia la posizione dello scrittore nei confronti della religione è complessa: da una parte egli la paragona alle altre forme di pregiudizio, dall’altra le riconosce la capacità di guida nel raggiungimento di una morale autentica.

In realtà quello che nel libro interessarealmente è la commistione profonda tra cattolicesimo e potere. La Chiesa ha perso l’umiltà del passato e sembra aver rinnegato l’immagine di Cristo (non a caso il protagonista disegna la figura di un Cristo in ombra) e non esercita più la sua funzione, compromessa sul tavolo del governo democristiano.
Il discorso sulla religione si estende così al discorso sul potere: indagare il primo vuol dire indagare anche il secondo.

La fantasia dello scrittore si muove sul piano dell’allegoria e dell’ambiguità, come traspare sin dal titolo: “Todo modo” è un espressione spagnola che significa “con ogni mezzo” ed è una manifesta allusione ai degradati costumi politici; inoltre “todo modo” è anche il motto di Ignazio di Loyola, alla ricerca “con ogni mezzo” della volontà di Dio.

Il romanzo è scritto in forma autobiografica e ha per protagonista un pittore, la cui identità resta ignota. Durante uno dei suoi viaggi in Sicilia, si trova di fronte a una scritta che lo incuriosisce: “Eremo di Zafe”r. Il pittore allora si reca lì e scopre che l’eremo è diventato ormai un albergo per iniziativa di un abile gesuita, don Gaetano. Per l’indomani sono attesi importanti personaggi che ogni anno convengono lì per gli esercizi spirituali, ma Don Gaetano accetta di accogliere l’inatteso ospite.

Comincia così lo strano soggiorno del narrante. Le automobili che giungono in processione il giorno dopo scaricano illustri personaggi della Dc e alti prelati: hanno inizio gli esercizi spirituali e anche il pittore vi partecipa.
Ma ecco che due delitti, a un giorno di distanza l’uno dall’altro, interrompono l’andamento degli esercizi, forse un regolamento di conti tra notabili corrotti. Il prete non si sconvolge e non infrange la regola dell’omertà né con il commissario di polizia, né col procuratore Sgalambri: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”.

In alcune conversazioni con il pittore Don Gaetano tocca gli eterni temi della giustizia, della libertà, della Grazia: la paura di Pascal di fronte all’universo, che le scoperte della scienza moltiplicano e l’ironia con cui Voltaire colpiva l’ottimismo. La religione si presenta, nelle sue parole, come angoscia, il mondo come violenza. “I preti buoni sono quelli cattivi (…) il trionfo della Chiesa, nei secoli, più si deve a preti cattivi che ai buoni”. 

L’attrattiva del male s’irradia inquietante dalle dotte argomentazioni del gesuita, che però viene a sua volta ucciso: è trovato morto nel bosco con una pistola a fianco. Il procuratore, impotente, decide di far sgomberare l’eremo e di chiudere l’inchiesta.
Il racconto resta sospeso, senza colpevoli. Tra le righe può farsi strada un’ipotesi: responsabile del terzo delitto è forse lo stesso pittore. Aveva infatti detto allo Sgalambri, citando La Rochefoucauld: “Nessuno merita di essere lodato se non ha la forza di essere cattivo (…) ogni altra bontà non è il più delle volte che una pigrizia o una impotenza della volontà”.

Il romanzo sembra volerci dire che è impossibile approdare alla verità: tutti sono sospettabili e lo Stato nulla può (Don Gaetano stesso aveva detto, rivolto agli illustri ospiti: “Ma signori (…) spero non mi darete il dolore di dirmi che lo Stato c’è ancora…”).